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Radiotelegrafisti d’alt(r)o mare:

Ricordi d’altri tempi di un Radiotelegrafista di bordo
Testo di IZ3DVZ – Enrico
Mi sembra di raccontare una favola ai nipotini: c’era una volta la telegrafia…

Correva l’anno 1950 e da radiotelegrafista giovane la Società Radiomarittima mi aveva imbarcato su una mezza carretta di bandiera francese, era il “Melanesien” noleggiata alla GOGEDAR di Genova e adibita a viaggi nel pacifico tra Tahiti e la West-Coast americana con passeggeri e merci, non ricordo esattamente che mese era, so che partendo da Genova per Panama, fuori Gibilterra, in atlantico vomitai anche l’anima dal mal di mare.
La nave di costruzione tedesca, preda bellica del secondo conflitto mondiale, stazzava 7000 tonnellate ed era spinta da due motori diesel, mentre per le cose che più ci interessano, la stazione radio era ben attrezzata: due trasmettitori, uno in onde medie e l’altro per le corte, anch’essi di costruzione germanica, mi pare della FunkenRadio, erano molto ben realizzati: con materiale sceltissimo e con un’assemblaggio da manuale; in più c’era, se ben ricordo un trasmettitore francese per la 2182 per la telefonia costiera denominata “marine operator”.

La nave faceva si e no 10 miglia orarie e la traversata fino a Panama durò una ventina di giorni. L’equipaggio era misto: parte francese e parte italiano.

I francesi in un primo tempo ci guardavano in cagnesco poi si addolcirono, il problema era la cucina: gusti troppo diversi.

Tra le chiuse del Canale di Panama il “Melanesien” sembrava un sandolino.

Ricordo con emozione l’entrata in pacifico, un mare tranquillo, meraviglioso con una brezza calda e carica di odori.
Credo che il viaggio da Panama a Papete durò una decina di giorni, traffico radio ben poco: qualche telegramma di servizio, la ricezione giornaliera dei bollettini meteo e dei bollettini stampa, la FrancePress e L’Ansa copiati a macchina: non esistevano ancora le telex a bordo delle navi e la ricezione delle stampe a macchina richiedeva una certa abilità perché veniva fatta su una matrice a base di cera e non si potevano fare correzioni, la macchina da scrivere era senza il nastro.
Dopo tanti giorni di mare, finalmente, arrivammo a Papete, la capitale dell’arcipelago di Tahiti. Dopo le formalità burocratiche delle autorità del posto ci fu uno scappa-scappa generale e a bordo credo ci rimase solo il gatto…

A Papete rimanemmo circa una settimana, a bordo e in cabina faceva un caldo infernale, non c’era aria condizionata, un ventilatore in cabina faceva più rumore che altro, in Radio poi con gli apparati accesi era un martirio, finchè la nave era in navigazione si stava abbastanza bene, venivano poste sugli olbò le trombe, cioè le maniche a vento per catturare l’aria.

In porto venivano messe le reti anti insetti, che tra zanzaroni, cavallette e santamarie(Una strana mosca tropicale) c’era da stare poco allegri. Io da radiotelegrafista non avevo impegni di sorta e quindi me ne andavo in giro per la città che aveva il suo fascino tropicale, la gente cordiale e una gioventù molto bella, le femmine poi…tutte con un fiore su un orecchio, non c’era nulla di strano era l’usanza locale, il fiore sull’orecchio sinistro stava a indicare che la donna non era disponibile, se era sul destro avrebbe cercato un partner, io facevo attenzione a sti maledetti fiori ma incontravo anche vecchiette con un fiore alla sinistra.

La lussureggiante vegetazione favoriva la crescita di fiori di ogni genere.

Nella strada principale, la Boulevar du Paris c’erano negozi e commerci di ogni genere, bar ristoranti, ricordo che si bevevano frullati di frutta tropicale come il mamei, che ha un succo delizioso.

Alla fine delle operazioni di carico imbarcarono i passeggeri, uno sparuto gruppo di donne con bambini, erano famigliari dei legionari francesi di stanza nell’isola, partimmo per il primo viaggio salutati da terra da musiche grida e lanci di stelle filanti.

Io pensai che con i passeggeri avrei avuto un po’ più di traffico radio e a parte un telegramma di servizio del comandante all’agenzia di Los Angeles poi nulla.

Ero obbligato a starmene ben otto ore in stazione radio divise in due turni, uno al mattino dalle 0800 locali fino alle 1200, uno al pomeriggio dalle 1600 alle 2000, ma siccome quella maledetta Ansa trasmetteva il bollettino stampa di notte dovevo alzarmi per riceverla mentre mi veniva bene la Frenchpress che aveva molti orari di trasmissione.

Come detto dianzi a parte l’ascolto sulla 500 kc, che al tempo era la frequenza di emergenza e di chiamata telegrafica. pochi segnali arrivavano, deboli e con qsa; si ascoltava qualche stazione della costa atlantica americana.

Io trascorrevo il tempo cercando di leggere le monografie dei due trasmettitori, ma siccome erano in tedesco ben poco comprendevo, solo gli schemi erano decifrabili.

Avevo due ricevitori, uno fisso sulla 500 kcs e l’altro per il traffico telegrafico, erano due meraviglie, montavano certe strane valvole a fungo e il display a rifrazione che scorreva con la manopola di sintonia.

Certo che i tedeschi con l’elettronica del tempo ci avevano dato molti punti. Avevo visto i vari residui di guerra italiani, RadioMarelli, AllocchioBacchini, autentiche porcherie.(continuerà)

Di questa storia non leggeremo la parola “fine”:
Pochi giorni dopo aver scritto queste righe, Enrico ci ha lasciati per sempre.
Ricordo ancora la mail che mi scrisse, evidentemente emozionato ringraziandomi per aver trovato le foto della “sua” nave: non l’aveva più vista da quei tempi.
Abbiamo voluto mantenere questi scritti per ricordarlo

GRAZIE ENRICO!

Il "Melanesien", in due foto d'epoca

Il “Melanesien”, in due foto d’epoca

Il "Melanesien", in due foto d'epoca

Il “Melanesien”, in due foto d’epoca

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